Reverse mentoring: accetteresti che uno più giovane ti insegnasse qualcosa?

13 November 2017

Uno scambio di competenze tra nativi digitali e senior: ecco tutti i vantaggi del reverse mentoring.

Leggi l'articolo a firma di Valeria Vantaggi

È così: junior e senior, (anche) sul lavoro, si percepiscono come una reciproca minaccia. I rapporti sono spesso tesi, con una certa diffidenza: da una parte i «so-tutto-io-perché-sono-qui-da-secoli», dall’altra i «guarda-questi-vecchi-che-non-se-ne-vanno». Eppure, c’è da imparare a convivere visto che ormai, anche con i nuovi progetti di Scuola-Lavoro, si entra nel mondo professionale molto prima e si finisce molto dopo: oggi in un ufficio ci può essere un vero mix di generazioni, con una forbice anche di 50 anni tra il dipendente più anziano e il più giovane.

In questo quadro entra così in gioco quello che viene chiamato «reverse mentoring»: a insegnare non sono le persone che da più tempo stanno in quei posti di lavoro, ma gli ultimi arrivati, i più giovani, che magari però possono essere più competenti in ambito digitale, che probabilmente conoscono meglio il tessuto sociale là fuori o che sanno dove sta andando il nuovo mondo. In realtà il vantaggio potrebbe essere duplice: non solo la persona più «agé» si aggiorna, ma il più «junior» entra in contatto con chi conosce meglio le dinamiche dell’azienda.

Laura Hilliger, scrittrice e fondatrice di We are open Co-op, sostiene che ci sia però un equivoco di fondo perché il concetto di «reverse mentoring» sarebbe in un certo senso fuorviante: nella parola «mentoring» non si fa riferimento all’età. «Nel concetto di mentoring è implicito quello di maggior competenza del mentor rispetto al mentee», spiega Laura Hilliger, «ma l’età non c’entra».

In ogni caso, questo reverse mentoring ha tutta l’aria di dare una spinta positiva: «Il reverse mentoring è, in generale, una formula per lo scambio di competenze hard e soft tra nativi digitali e senior over 40», ha spiegato Silvia Rigamonti, responsabile del Mentoring Program di PWN, «Così, per esempio, PWN Milan chiama spesso a raccolta diverse donne professioniste con carriere solide, ma spesso con poche competenze relative al mondo del web 2.0. Un programma di reverse mentoring può avvenire attraverso degli incontri formali tra junior e senior, con il reciproco impegno a formarsi su aspetti differenti del lavoro. Ad esempio possono essere implementate le capacità di project management di entrambe le generazioni: se da una parte i giovani insegnano l’utilizzo di strumenti digitali per la gestione di un progetto come l’e-calendar, l’organizzazione di riunioni a distanza o strumenti digitali per programmare le attività, i senior possono trasmettere i principi sempre validi per raggiungere i risultati di un progetto come la formulazione di una vision o la definizione di un obiettivo efficace. Quando ho immaginato il programma di reverse mentoring desideravo che si potesse creare uno scambio reciproco tra Millennial, nate in un’epoca digitale, e X-Gen, nate in epoche più analogiche: tuttavia non immaginavo che, in così poco tempo, si potesse creare e sviluppare una comunità così forte e ricca di scambi e sostegni reciproci. Il gruppo di lavoro – nato dall’unione di donne sconosciute e totalmente diverse tra loro – sta mostrando tutte le potenzialità intrinseche delle donne e della loro capacità di fare rete: l’ascolto attivo, la curiosità verso le peculiarità di ognuna, l’apertura a stimoli inaspettati, la disponibilità a mettersi in gioco basata sulla fiducia, il sostegno e il feedback delle singole partecipanti e del gruppo. Direi un successo meritato e strettamente correlato all’impegno di tutte».

Clicca qui per leggere l'articolo apparso su Vanity Fair

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